Omicidio piccola Elena: la confessione

L’omicidio della piccola Elena Del Pozzo e la confessione della madre

E’ un caso di “Sindrome di Medea”?

È stata trovata morta la piccola Elena Del Pozzo.

La piccola aveva appena cinque anni ed è scomparsa in circostanze non chiare sin da subito il 13 giugno a Mascalucia, in provincia di Catania.

A fare ritrovare il corpo della piccola è stata la madre ventitreenne, Martina Patti.

Il provvedimento di fermo emesso dal Pubblico Ministero per l’omicidio e la convalida del Giudice per le Indagini Preliminari

La Procura di Catania ha emesso il provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti della donna.

Attualmente si trova in carcere con l’accusa di omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere. 

Viene infatti contestata alla giovane, oltre all’aggravante dell’aver commesso il fatto ai danni del discendente, per di più minore di età, anche la premeditazione.

La ragazza ha risposto alle domande del Giudice per le indagini preliminari nel corso dell’interrogatorio per la convalida del fermo, così come previsto dall’art. 391 c.p.p., tenutosi presso il Carcere di Catania ove la Patti è sorvegliata a vista a causa del timore di un crollo psicologico.

Ad oggi rimangono ancora numerosi i punti oscuri della sua confessione.

Si sconosce il movente, il luogo dell’omicidio e l’arma del delitto.

Questi elementi potranno essere colmati solo dopo l’autopsia sul corpo della piccola ed i rilievi che i Carabinieri espleteranno nella casa della donna, ove si suppone sia avvenuta la tragedia.

La donna era capace di intendere e di volere al momento del fatto? 

La difesa della ragazza, nel frattempo, ha già anticipato che richiederà una perizia per far luce su eventuali profili di tipo psichiatrico che possano avere influito sul comportamento della donna.

Nel caso in cui venisse acclarata l’incapacità di intendere e di volere della donna al momento del fatto la stessa verrebbe dichiarata non imputabile.

E’ però fatta salva la possibile applicazione di una misura di sicurezza laddove fosse ritenuta socialmente pericolosa.

Se vuoi approfondire la disciplina codicistica della perizia psichiatrica clicca qui.

Le tappe dell’omicidio che ha sconvolto l’Italia: dalla falsa denuncia di sequestro della piccola Elena al ritrovamento del cadavere e la confessione

La triste vicenda ha avuto inizio il 13 giugno, quando la madre della bimba ha denunciato ai Carabinieri della Tenenza di Mascalucia il sequestro della figlia Elena di cinque anni. 

La donna ha raccontato che tre persone incappucciate e armate avrebbero prelevato la piccola mentre si trovava con lei in auto a Piano di Tremestieri, piccolo centro dove si trova l’asilo frequentato dalla figlia. 

Le circostanze del presunto rapimento sono però apparse sin da subito lacunose e contradditorie. 

Ed infatti, a sole 24 ore dalla denuncia la giovane ha confessato il delitto: è stata lei a uccidere la figlia Elena. L’ha colpita più volte con un coltello, ad oggi non ancora trovato, e dopo aver avvolto il cadavere in alcuni sacchi della spazzatura, lo ha sotterrato in un campo non lontano da casa.

Nonostante la donna non abbia fornito ancora una spiegazione sulla ragione che l’ha spinta a compiere il terribile gesto, gli inquirenti ritengono che sia dovuto alla gelosia che la Patti nutriva nei confronti della nuova compagna del suo ex, padre della piccola Elena, ed alla paura che la bambina le si affezionasse. 

Gli esperti ritengono che possa trattarsi della c.d. “Sindrome di Medea”

Il termine “sindrome (o complesso) di Medea”, che prende ispirazione dall’omonimo mito narrato da Euripide, è stato coniato dallo psicologo Jacobs alle fine degli anni 80.

Indica la condizione psicologica di una madre che mira a distruggere il rapporto fra il padre ed i figli avuti con lui, a seguito di una separazione conflittuale.

Secondo la leggenda infatti, Medea, accecata dall’odio nei confronti del compagno Giasone, che l’aveva abbandonata perché innamorato di un’altra donna, decide di vendicarsi di lui arrivando ad uccidere i loro figli. 

Nel caso di specie, la madre della bambina non aveva mai nascosto ad amici e parenti l’insofferenza per la nuova relazione dell’ex compagno e per la possibilità che la piccola instaurasse un rapporto con la nuova figura femminile che ora viveva col padre. 

È quindi possibile che la donna si sia determinata al terribile gesto perché spinta dall’impulso omicida avente come obbiettivo finale la sofferenza dell’ex compagno.

Ma cosa rischia la madre della piccola Elena per l’omicidio? 

Martina Patti è accusata di omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere. 

Mentre il delitto di occultamento di cadavere è punito con la reclusione fino a tre anni, trattamento sanzionatorio decisamente diverso è previsto per l’omicidio caratterizzato dalla presenza di una o più aggravanti.

L’art. 575 del codice penale infatti punisce con la reclusione non inferiore ad anni ventuno chiunque cagiona la morte di un uomo. 

Nel caso in esame l’omicidio della piccola Elena risulta essere pluriaggravato, in primo luogo perché commesso ai danni di minore, così come previsto dall’art. 61 n. quinquies c.p., ed in secondo luogo perché commesso ai danni del discendente e con premeditazione ai sensi dell’art. 576 c.p. n. II.

Tali ultime aggravanti, c.d. specifiche, a differenza dell’aggravante comune di cui all’art. 61 quinquies c.p. che determina l’aumento di un terzo di pena, prevedono l’applicazione della pena più severa prevista dell’ordinamento giuridico, ovvero il carcere a vita.

Avv. Raffaele Perrotta Dott.ssa Giulia Danesi