Il Decreto Legge n. 19 del 25.03.2020: L’ennesima occasione sprecata per fare chiarezza ed approdare ad una disciplina unitaria in materia di emergenza Covid-19

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Nella tarda serata del 25 marzo 2020 il Presidente della Repubblica ha emanato il Decreto Legge n. 19, l’ennesimo provvedimento normativo recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Si tratta del sesto, e certamente non ultimo, provvedimento redatto dal Governo in poco più di un mese.

Anticipazioni relative al contenuto di quest’ultimo Decreto erano state inopinatamente diffuse nei giorni precedenti, a maggior ragione in considerazione del fatto che la versione definitiva del testo presenta molteplici e significative differenze rispetto alla bozza circolata.

Il nuovo D.L. 19/2020 ha cercato di avere effetto dirimente rispetto alle numerose critiche, inerenti il rapporto tra DPCM ed ordinanze regionali, a maggior ragione per quanto concerne l’interpretazione dei singoli interventi normativi.

Viene infatti definita la relazione intercorrente tra i due provvedimenti, riconoscendo ampio margine discrezionale alle Regioni, le quali hanno facoltà di imporre provvedimenti cogenti per la popolazione, fino al successivo intervento a firma del Presidente del Consiglio.

Infatti, l’ulteriore elemento di novità è la possibilità di differenziare l’applicazione delle misure di contenimento a seconda delle esigenze ed emergenze territoriali tramite il provvedimento emesso dal Ministro della salute nonché le ordinanze regionali: entrambi questi strumenti sono però temporanei e soggetti ad approvazione. Solo in caso di conferma verrebbero fatti confluire nei DPCM.

Alle Regioni, nelle more dell’adozione dei DPCM, è conferito il potere di aggravare (e non attenuare) le misure di contenimento sull’intero territorio, o su parte di esso, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza intaccare la sfera delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia Nazionale.

A differenza di quanto inizialmente previsto nella bozza del decreto, al Sindaco non è stato conferito alcun tipo di potere.

Anche con quest’ultimo Decreto viene dunque ribadita la sovranità del DPCM, unico strumento idoneo a rimanere in vigore, lasciando alle ordinanze regionali efficacia solo temporanea.

Per tale motivo non può andare esente da critiche l’aggiornamento pubblicato dalla Regione Lombardia il 26.03.2020 avente ad oggetto l’ordinanza 514 del 21.03.2020 e le successive integrazioni del 22 e 23 marzo, recante le principali misure in tema di emergenza sanitaria, integrate delle disposizioni nazionali in vigore.

Al fine di ottimizzare l’efficacia e la tempestività degli interventi sul territorio, anche al Ministro della salute è stato attribuito l’autonomo potere discrezionale di adottare idonee misure di contenimento, fermo restando il requisito dell’estrema necessità ed urgenza per situazioni sopravvenute, nelle more di successivi DPCM aventi medesimo oggetto.

Sul punto è tuttavia opportuno rappresentare come, ai sensi del richiamato articolo 32 della legge n. 833 del 23.12.1978, le ordinanze emesse dal Ministro della Sanità rimarrebbero efficaci per non più di sette giorni.

Il nuovo trattamento sanzionatorio, l’espressa esclusione del reato di cui all’art. 650 c.p. ovvero di altra sanzione contravvenzionale.

Una delle principali novità introdotte dal Decreto Legge n. 19 riguarda il radicale stravolgimento del sistema sanzionatorio previsto in caso di violazione dei divieti di circolazione sul territorio.

Fino al 25.03.2020 l’ipotesi di reato ascrivibile a coloro che trasgredivano l’obbligo di astenersi dagli spostamenti non giustificati era la contravvenzione prevista dall’art. 650 c.p. (“Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, […] con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro”).

Tanto, invero, era stato previsto anche dal Decreto Legge n. 6/2020 (convertito in Legge n. 13 del 5 marzo) il quale statuiva esplicitamente, al comma 4 dell’art. 3, l’applicazione della fattispecie di reato di cui all’art. 650 c.p. nei confronti dei soggetti responsabili della violazione degli obblighi ivi contenuti.

Il nuovo Decreto, diversamente, prevede l’applicazione di una sanzione di tipo amministrativo che comporta per il trasgressore il pagamento di una somma da euro 400 ad euro 3.000, elevabile fino ad un terzo in caso di violazione commesse mediante l’utilizzo di veicoli. Esclude l’applicazione delle sanzioni contravvenzionali previste “da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità”.

Si tratta di una sanzione che può essere irrogata direttamente dall’autorità pubblica preposta ad effettuare i controlli sul territorio.

Questa è un’importante differenza rispetto alla “sanzione di natura economica” prevista per la commissione di un reato (multa per i delitti o ammenda per le contravvenzioni) che non può essere né decisa né tantomeno riscossa dalle Forze dell’Ordine in quanto di esclusiva competenza del Tribunale e quantificabile unicamente a seguito dell’accertamento sulla penale responsabilità del colpevole nell’ambito, appunto, di un procedimento penale.

La ratio di questa modifica “sembrerebbe” quella di evitare la congestione dei singoli Uffici della Procura della Repubblica presenti sul territorio, che difficilmente avrebbero potuto reggere il carico di segnalazioni di reato nel caso in cui la situazione di emergenza si sarebbe protratta per molti altri mesi.

Alcuni, invece, hanno sostenuto come la previsione di una sanzione amministrativa da 400 fino ad euro 3.000 consenta allo Stato entrate economiche più consistenti. Tanto, a titolo esemplificativo, se si pensa che il reato di cui all’art. 650 c.p. è punito […] con ammenda fino ad euro 206 (che diventano 103 euro in caso di concessione della c.d. oblazione facoltativa ex art. 162 bis c.p.).

Per comprendere meglio quanto evidenziato va detto come dall’inizio dei controlli, e quindi a partire dall’11.03.2020, sono state più di due milioni e mezzo le persone fermate e sottoposte ad accertamenti: tra queste 118.968 sono i soggetti denunciati dalle Forze dell’Ordine e la fattispecie di reato maggiormente contestata è proprio quella di cui all’art. 650 c.p..

Sulla retroattività delle sanzioni amministrative e, pertanto, sulla impossibilità di contestare il reato di cui all’art. 650 c.p. per i fatti commessi dal 23 febbraio 2020.

Il comma 8 dell’art. 4 stabilisce la retroattività delle disposizioni inerenti la “conversione” delle sanzioni penali in amministrative: “Le disposizioni […] che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”, riconoscendo tuttavia a quest’ultime l’applicazione della nuova sanzione amministrativa nella misura minima, ulteriormente ridotta della metà.

Il comma 4 dell’art. 3 del precedente Decreto Legge, n. 6, convertito in Legge n. 13 del 05.03.2020, che prevedeva, per l’appunto, l’integrazione del reato di cui all’art. 650 c.p. in caso di mancato rispetto delle misure di contenimento è stato quindi definitivamente abrogato.

L’overruling posto in essere dal Governo è davvero notevole: pare sia stato prediletta la volontà di non ingolfare la già sovraccarica macchina giudiziaria, rispetto alla volontà di mandare un forte segnale alla popolazione, nuovamente lasciata al proprio, decisamente carente ed insufficiente, senso civico.

Vi è però una clausola di riserva in apertura: “Salvo che il fatto costituisca reato”.

I possibili reati contestabili ai trasgressori.

Il Governo ha espressamente previsto che la trasgressione dei divieti di spostamento sul territorio, posta in essere da soggetti già sottoposti alla quarantena o risultati positive al virus, debba configurare autonome fattispecie di reato: l’art. 452 c.p. e articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie.

Per quanto concerne l’ipotesi delittuosa, l’art. 452, questa si configura nel momento in cui un soggetto, a titolo di colpa, cagioni un’epidemia, mediante la diffusione di germi patogeni.

La fattispecie di reato, risalente all’epoca fascista, invece, prevede la punizione di coloro che non osservano un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia.

Pur volendo di fatto abrogare la fattispecie di cui all’art. 650 c.p. relativamente alle violazioni degli obblighi imposti, il Governo ha, di fatto, disciplinato la medesima condotta in modo più rigido: ora chi contravviene ad un ordine imposto è punito con l’arresto da 3 mesi a 18 mesi, fino a ieri la durata massima della sanzione dell’arresto era per massimo tre mesi.

Le due ipotesi di reato, l’art. 452 c.p. e l’art. 260 T.U. Leggi Sanitarie, si trovano tra loro in rapporto di subordinazione: nel caso in cui non si configuri la fattispecie di “Delitti colposi contro la salute pubblica” (452 c.p.), si instaurerà un procedimento penale per la contravvenzione poc’anzi richiamata che, però, non potrà essere oggetto di oblazione ex art. 162 bis c.p. e della conseguente estinzione del reato.

Non è detto che queste modifiche determinino l’effettiva semplificazione dell’intero meccanismo sanzionatorio.

In ogni caso le notizie di reato trasmesse alle singole Procure dovranno essere accuratamente vagliate, al fine di individuare

ï se il fatto costituisce reato (art. 4 co. 1);

ï se si tratta di un caso di violazione della quarantena (art. 1 co. 2 lett. e);

ï in caso di mera violazione amministrativa, quale sia l’Autorità competente ad emanarla (Prefetto o Autorità locale), onde restituire a questa gli atti.

Il Decreto Legge n. 19 è dunque l’ennesima tappa del complesso meccanismo normativo che, in continua e spesso frenetica evoluzione, accompagna l’emergenza sanitaria nazionale da Covid-19, imponendo a tutti i soggetti presenti sul territorio italiano di mantenersi costantemente informati rispetto ad obblighi e divieti caratterizzanti l’autonomina individuale e lo svolgimento delle rispettive attività professionali.

Le altre fattispecie di reato ravvisabili.

Come è noto, gli spostamenti dal domicilio sono consentiti a determinate condizioni:

  • comprovate esigenze lavorative;
  • assoluta urgenza, per trasferimenti in comune “diverso”;
  • situazioni di necessità, per spostamenti all’interno dello stesso comune;
  • motivi di salute.

Dette circostanze devono essere attestate attraverso l’autodichiarazione (se ne trova una disponibile sul portale istituzionale del Viminale, ma può essere compilata anche su foglio bianco).

È il corpo dello stesso modulo a richiamare le sanzioni per le ipotesi di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale:

  •  art. 76 del DPR n. 445/2000, che richiama i reati di falso, anche commessi ai danni di pubblici ufficiali;
  • art. 483 oppure 495 c.p. “Falsità ideologica commessa da privato in autocertificazioni ovvero falsità attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”.

La figura del datore di lavoro: obblighi e violazioni.

Alcune attività lavorative, per espressa previsione legislativa, sono da considerarsi “essenziali”, o connesse ad attività essenziali, e, pertanto, in virtù del loro carattere indispensabile, non ne è stata disposta la sospensione.

Resta inteso che sussistono in capo al datore di lavoro oneri ed obblighi stringenti in quanto è possibile incorrere ugualmente in sanzioni che ricadranno sia sull’imprenditore – persona fisica, che sull’imprenditore quale legale rappresentante dell’ente, che pertanto dovrà rispondere anche a titolo di responsabilità amministrativa.

La materia è disciplinata, oltre che dal codice penale, dal D.lgs. 231/2001 e dal T.U. per la Sicurezza sul Lavoro, il D.lgs. n. 81/2008.

In particolare, il datore, o il dirigente, possono essere chiamati a rispondere delle contravvenzioni di cui al comma 5 dell’art. 55 ovvero dell’art. 282, nel caso in cui non ottemperino gli obblighi prescritti dalla normativa stessa.

Ad esempio, trattasi del caso in cui l’imprenditore non abbia informato i lavoratori in relazione ai pericoli connessi al dilagare dell’epidemia da virus Covid-19, all’esigenze dell’attività produttiva, le misure predisposte per fronteggiarli, nonché i comportamenti da adottare.

Ed ancora, il datore di lavoro potrà rispondere ai sensi dell’art. 55 T.U. nel caso in cui non abbia fornito ai lavoratori gli strumenti idonei utili alla protezione personale, anche da Covid-19.

Le fattispecie di reato cui potrebbe essere chiamato a rispondere l’imprenditore sono di natura contravvenzionale ed è prevista, in alternativa, l’applicazione della pena dell’arresto o dell’ammenda.

In questo caso è possibile chiedere la c.d. “oblazione facoltativa” prevista dall’art. 162 bis c.p. che comporta l’estinzione del reato.

Ma vi è di più.

Il datore di lavoro può altresì essere chiamato a rispondere per delle ipotesi di delitto, punite a titolo di colpa.

È propriamente il caso delle lesioni personali, aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (rientra sicuramente per alcuni settori il rischio specifico da Covid-19).

Invero, nel caso in cui al lavoratore dovessero essere cagionate delle lesioni, qualificabili come lievissime, lievi, gravi o gravissime a seconda della entità delle conseguenze, il datore risponderebbe del reato di cui all’art. 590, comma 3 c.p. ovvero ai sensi dell’art. 589 comma 2 c.p. in caso di morte.

Risulta necessario sottolineare come, proprio in relazione a queste due ultime ipotesi di reato, lesioni ed omicidio colposo, sia prevista una responsabilità anche in capo all’ente.

Invero, l’art. 25 septies del D.lgs. 231/2001 prevede l’applicazione di sanzioni di natura pecuniaria, nonché interdittiva: l’ipotesi peggiore è integrata dalla interdizione dall’esercizio dell’attività fino ad un anno.

È altresì prevista, nel caso di accertamento della responsabilità dell’ente per la commissione dei reati presupposto, la sanzione della confisca del profitto del reato che, generalmente, verrà ricondotta al concetto di risparmio, sia in termini di costi che di tempo, da intendersi come quantum non corrisposto al fine di adottare tutte le misure indispensabili per prevenire reati della specie di quello che si è poi in concreto verificato.

Ignorantia legis non excusat: l’intervento del professionista.

L’evoluzione del quadro normativo relativo agli obblighi ed ai divieti penalmente rilevanti impone al singolo cittadino di informarsi diligentemente sulle costanti modifiche che caratterizzano cosa è lecito e cosa è proibito, in virtù del noto brocardo “ignorantia legis non excusat” (la legge non ammette ignoranza).

Se poi si aggiunge l’incertezza interpretativa delle singole ipotesi di reato ovvero delle sanzioni amministrative, appare facilmente comprensibile la necessità di ottenere adeguata consulenza da parte di professionisti esperti nel settore.

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