
La Legge 157/2019 di conversione del Decreto Legge 124/2019 ha introdotto nel testo del D. lgs. 231/2001 l’art. 25 quinquiesdecies, il quale ha esteso l’elenco dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ad alcuni reati tributari disciplinati dal D.lgs. n. 74/2000, non previsti nell’originaria formulazione della normativa, tra cui la dichiarazione fraudolenta che quindi puó comportare la responsabilità dell’ente.
Dichiarazione fraudolenta e interesse o vantaggio dell’ente
La ratio di tale scelta legislativa risiede nel fatto che la condotta punita da questa particolare tipologia di reati, laddove imputabile ad un soggetto appartenente alla struttura organizzativa dell’ente, può integrare il criterio oggettivo richiesto per l’applicazione del D. lgs 231/2001, ovvero l’interesse o il vantaggio dell’ente.
E ciò in quanto è evidente che il profitto materiale delle attività di dichiarazione fraudolenta, evasione fiscale, sottrazione al pagamento d’imposte, occultamento o distruzione di documenti contabili, si rinviene nel risparmio d’imposta da parte del contribuente, nel caso di specie l’ente.

Dichiarazione fraudolenta, responsabilità dell’ente e tempus commissi delicti
Diretta conseguenza della riforma del sistema “231” è l’esclusione della responsabilità in capo all’ente in presenza di reati tributari commessi prima dell’entrata in vigore del D. L. n. 124/2019.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 41582 del 16.11.2021, con la quale ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria a carico di una società ritenuta responsabile ex D. lgs 231/2001 per la tentata truffa aggravata commessa nel suo interesse o comunque a suo vantaggio dal legale rappresentante.
Nella citata sentenza si dà atto della erronea qualificazione dei fatti ad opera dalla Corte d’Appello, la quale aveva ritenuto che l’annotazione nelle scritture contabili della società di una fattura nella quale erano riportate operazioni dirette a indurre l’Amministrazione finanziaria in errore circa l’effettiva entità dell’IVA detraibile, integrasse il reato di tentata truffa aggravata ex artt. 56 e 640 comma II c.p.
Gli Ermellini hanno infatti riqualificato le condotte contestate nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 del D. lgs. n. 74/2000, dovendosi escludere nel caso di specie l’applicabilità della tentata truffa in ragione del principio di specialità che intercorre tra le due previsioni incriminatrici.

Dichiarazione fraudolenta e truffa aggravata
Secondo un orientamento ormai consolidato della Suprema Corte si configura un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (art. 2 e 8 D. lgs. 74/2000) ed il delitto di truffa aggravata, “in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta all’evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni”.
A seguito di tale riqualificazione, appurato che l’annotazione era stata apposta prima dell’introduzione dei reati tributari nel novero dei reati presupposto di cui al Decreto “231”, i Giudici del Palazzaccio hanno assolto l’ente.
Come detto in apertura, infatti, la responsabilità dell’ente per un fatto costituente reato a norma dell’art. 2 D. lgs. 74/2000 è stata prevista solo in epoca di molto successiva al fatto oggetto della pronuncia.
Ne consegue come la mancata contestazione e configurabilità di un reato presupposto, secondo la disciplina vigente all’epoca del fatto, per la responsabilità amministrativa a norma del D. lgs .231/2001, esclude in radice la possibilità di ravvisare la sussistenza di quest’ultima.