L’emergenza sanitaria correlata al virus denominato Covid-19, rappresenta una situazione di emergenza globale, non solo dal punto di vista sociale ma anche in ambito lavorativo.
In più occasioni (su tutte, si vedano gli articoli “Prevenire il reato ai tempi del Coronavirus: obblighi, regole di condotta e responsabilità negli ambienti di lavoro”; “Coronavirus: nuovo banco di prova per gli Organismi di Vigilanza”) abbiamo trattato le diverse ripercussioni, anche di natura penale, che la diffusione del contagio ha portato o potrebbe portare all’interno dei luoghi di lavoro nonché le differenti misure applicabili in tema di prevenzione.
Di importanza fondamentale rispetto al panorama normativo italiano è la circolare INAIL n. 13, pubblicata il 3 aprile 2020 (Clicca qui per scaricare il documento).
È stato infatti stabilito che le infezioni da Coronavirus avvenute nell’ambiente di lavoro, o a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa, dovranno essere considerate e tutelate a tutti gli effetti come infortuni sul lavoro.
Verrà altresì garantita tutela assicurativa anche nelle ipotesi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica.
Le conseguenze dal punto di vista processualpenalistico sono evidenti.
In caso di contagio del dipendente, si procederà ad una scrupolosa valutazione dell’azienda in cui il soggetto operava, finalizzata a verificare la corretta applicazione della normativa contenuta nel Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs 81/2008).
In caso di violazione, il datore di lavoro verrà sanzionato non solo dal punto di vista amministrativo ma anche in base alla normativa penale, non avendo predisposto idonei strumenti a salvaguardia dei propri dipendenti.
Per tale motivo occorrerà modificare ed adeguare tutti i protocolli aziendali in tema di sicurezza sul lavoro.
A tal proposito, in previsione della tanto attesa “Fase II”, che dovrebbe determinare la fine o, quanto meno, la parziale attenuazione, del c.d. lockdown, sono stati recentemente emanati due documenti tecnici per la prevenzione ed il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro, condizioni evidentemente imprescindibili per la riapertura delle unità produttive.
L’ultimo, quanto meno in ordine temporale, è quello adottato il 24 aprile 2020 su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, condiviso con i Ministeri dello Sviluppo Economico, della Salute, del Lavoro e con le parti sociali.
Si tratta di un testo che funge da integrazione ed aggiornamento del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, in vigore dallo scorso 14 marzo (clicca qui per scaricare il documento).
L’importanza della nuova versione di questo documento è rappresentata dal fatto che “la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.
La ripresa (o la prosecuzione) delle attività produttive commerciali ed industriali potrà quindi avvenire solamente in presenza di condizioni di lavoro che garantiscano sufficienti livelli di tutela della salute, demandando alle singole aziende l’onere di attivarsi per aggiornare e/o implementare le procedure interne in tema di sicurezza.
Il Protocollo iniziale è stato altresì integrato inserendo alcune specifiche misure, tra cui si segnalano:
- obbligo di certificazione medica di “avvenuta negativizzazione” per il rientro dei lavoratori già risultati positivi al Covid-19;
- utilizzo dei DPI conformi a quanto previsto dalle indicazioni dell’OMS o, seppur in via residuale, dalle indicazioni dall’autorità sanitaria, data la situazione di emergenza che potrebbe determinare difficoltà di approvvigionamento;
- sanificazione straordinaria degli ambienti alla riapertura nelle situazioni più a rischio;
- rimodulazione dei livelli produttivi, degli spazi di lavoro e delle postazioni, onde consentire idoneo distanziamento;
- previsione di orari di lavoro differenziati.
In chiave di introduzione ed aggiornamento delle procedure per ridurre i rischi di contagio è doveroso evidenziare il contenuto del protocollo recentemente pubblicato dall’INAIL, approvato dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS) istituito presso la Protezione Civile, frutto di un lavoro tecnico di ricerca condotto dall’Istituto anche in qualità di organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario Nazionale.
Si tratta del “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione”, redatto con lo scopo di fornire indicazioni specifiche in ambito lavorativo, mirate ad affrontare una graduale ripresa in sicurezza delle attività produttive, nonché ad assicurare idonei livelli di tutela della salute per tutta la popolazione (clicca qui per scaricare il documento).
Il documento è articolato in due differenti sezioni. La prima riguarda la predisposizione di una metodologia innovativa di valutazione integrata del rischio che tiene in considerazione la possibilità di venire a contatto con fonti di contagio in occasione di lavoro, di prossimità connessa ai processi lavorativi, nonché l’impatto collegato al rischio di aggregazione sociale anche verso “terzi”.
La seconda si focalizza sull’adozione di misure organizzative, di prevenzione e protezione, nonché di lotta all’insorgenza di focolai epidemici, anche in considerazione di quanto già contenuto nel “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” stipulato tra Governo e Parti sociali il 14 marzo 2020.
Stando alle nuove prescrizioni, la valutazione del rischio in ambiente lavorativo verterà sull’analisi di tre distinte variabili:
- esposizione: probabilità di venire in contatto con fonti di contagio nello svolgimento delle specifiche attività lavorative;
- prossimità: caratteristiche intrinseche di svolgimento del lavoro che non permettono un sufficiente distanziamento sociale per parte del tempo di lavoro o per la quasi totalità;
- aggregazione: tipologia di lavoro che prevede il contatto con altri soggetti oltre ai lavoratori dell’azienda.
Tali profili di rischio possono assumere una diversa entità ma allo stesso tempo essere modulate in considerazione delle aree in cui operano gli insediamenti produttivi, delle modalità di organizzazione del lavoro e delle specifiche misure preventive adottate.
Il risultato finale dell’analisi condotta sulle tre summenzionate variabili, determinerà l’attribuzione di uno specifico livello di rischio per ciascuna attività dei differenti settori produttivi.
Sulla base di questo risultato, l’azienda dovrà quindi adottare idonee strategie di prevenzione, che dovranno necessariamente estrinsecarsi in
- misure organizzative;
- misure di prevenzione e protezione;
- misure specifiche per la prevenzione dell’attivazione di focolai epidemici.
L’implementazione dei protocolli per garantire lo svolgimento in sicurezza delle attività commerciali ed industriali durante la c.d. “Fase II” dovrà quindi presupporre un’imprescindibile valutazione preliminare della singola realtà, in modo da effettuare una mappatura delle aree di rischio, funzionale alla redazione di procedure di tutela dei lavoratori realmente efficaci.
L’adozione di misure graduali ed adeguate attraverso il nuovo modello organizzativo di prevenzione partecipato dovrebbe consentire, in presenza di indicatori epidemiologici compatibili, quel progressivo ritorno al lavoro ormai imprescindibile per l’economia nazionale, garantendo al contempo adeguati livelli di tutela della salute e sicurezza di tutti i lavoratori, nonché dell’intera collettività.