L’ente estero viene punito?

Una società estera, infatti, è stata condannata per corruzione per fatti commessi a suo vantaggio o interesse.

Con il ricorso in Cassazione è stata contestata la giurisdizione italiana: le carenze organizzative rilevanti ai sensi del D.lgs 231/2001 si sarebbero realizzate all’estero.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rilevato come il D.Lgs. 231/2001 “non prevede alcuna distinzione fra gli enti aventi sede in Italia e quelli aventi sede all’estero”.

Rispetto alla giurisdizione ha sostenuto che viene in rilievo dove è stato commesso il reato presupposto.

Per cui, non rileva che la colpa in organizzazione e dunque la predisposizione di Modelli non adeguati sia avvenuta all’estero.

In questo modo si è ritenuto esista una eccezione rispetto al bis in idem internazionale.

Perché gli enti avente sede all’estero devono adottare efficacemente il modello 231?

Ragionamento diversamente, continua la Corte, si realizzerebbe una indebita concorrenza rispetto agli enti nazionali che adottano efficacemente il modello.

In caso contrario, l’inapplicabilità alle imprese straniere delle regole e degli obblighi previsti dal decreto n. 231 realizzerebbe l’alterazione della libera concorrenza rispetto agli enti nazionali.

Insomma, gli enti stranieri potrebbero operare sul territorio italiano “senza dover sostenere i costi necessari per la predisposizione e l’implementazione di idonei Modelli organizzativi”.

Per la Cassazione “l’ente è soggetto all’obbligo di osservare la legge italiana, in particolare quella penale, a prescindere dalla sua nazionalità”.

A nulla rileva, quindi, che nel proprio Paese di appartenenza ci siano norme che disciplino in modo analogo la medesima materia.