Cedu condanna l’Italia per perquisizioni illegittime: caso Brazzi contro Italia
La Cedu ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 8 § 2 della Convenzione.
1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
La Corte ha ritenuto come “in assenza di un controllo giurisdizionale preventivo o di un controllo effettivo a posteriori della misura istruttoria impugnata, le garanzie procedurali previste dalla legislazione italiana non siano state sufficienti ad evitare il rischio di abuso di potere da parte delle autorità incaricate dell’indagine penale”.
La condanna della Cedu.
Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto come la legislazione nazionale non prevedendo un controllo giurisdizionale ex ante factum sulla legalità e sulla necessità di tale misura istruttoria, dovrebbe prevedere altre garanzie.
In particolare, sul piano dell’esecuzione del mandato, di natura tale da controbilanciare le imperfezioni legate all’emissione ed, eventualmente, al contenuto del mandato di perquisizione.
Le carenze normative interne in tema di perquisizione.
Dunque, la Corte osserva come la legislazione italiana non preveda un simile controllo ex ante nel quadro delle perquisizioni ordinate nella fase delle indagini preliminari.
Non è infatti previsto che il Pubblico Ministero, in qualità di magistrato incaricato dell’indagine, chieda l’autorizzazione al giudice o lo informi della sua decisione di ordinare una perquisizione.
I possibili rimedi.
L’assenza di un controllo giurisdizionale ex ante può essere compensata dalla realizzazione di un controllo giurisdizionale ex post facto della legittimità e della necessità della misura. (Si vedano, mutatis mutandis, Heino, § 45, e Gutsanovi, § 222).
Tale controllo deve essere efficace nelle particolari circostanze del caso in esame (Smirnov c. Russia, n. 71362/01, § 45, 7 giugno 2007).
In pratica, ciò implica che le persone interessate possano ottenere un controllo giurisdizionale effettivo, tanto in fatto come in diritto, della misura in questione e dello svolgimento della stessa.
Quando un’operazione considerata irregolare ha già avuto luogo, il ricorso o i ricorsi disponibili devono permettere di fornire all’interessato una riparazione adeguata. (DELTA PEKÁRNY a.s. c. Repubblica ceca, n. 97/11, § 87, 2 ottobre 2014).
Il caso concreto.
Nel caso del ricorrente, la perquisizione non ha permesso di raccogliere prove a carico ed il procedimento è stato archiviato dal giudice per le indagini preliminari.
Il Giudice non ha esaminato né la legittimità né la necessità del mandato di perquisizione, essendosi limitato ad accogliere la domanda del procuratore di chiudere il procedimento nel merito.
Permaneva, quindi, l’interesse del ricorrente che ha sostenuto come la perquisizione della sua abitazione avesse costituito una ingerenza ingiustificata nell’esercizio del diritto al rispetto della sua vita privata e del suo domicilio.
La Corte osserva come il ricorrente non sia riuscito a ottenere il riesame della misura poiché il rimedio specifico di cui all’articolo 257 c.p.p. è previsto soltanto nel caso in cui la perquisizione sia stata seguita da un sequestro di beni.
In conclusione, anche se la misura controversa aveva una base giuridica nel diritto interno, il diritto nazionale non ha offerto al ricorrente sufficienti garanzie contro gli abusi o l’arbitrarietà prima o dopo la perquisizione.
Di conseguenza, l’interessato non ha beneficiato di un «controllo effettivo» come richiede lo stato di diritto in una società democratica.
In tali circostanze, la Corte ha ritenuto come l’ingerenza nel diritto al rispetto del domicilio del ricorrente non fosse «prevista dalla legge» ai sensi dell’art. 8 § 2 della Convenzione.
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Avv. Fabio Ambrosio, Dott.ssa Martina Isella