Dopo 32 anni la notizia: riaperte le indagini per l’omicidio di via Poma.
L’uccisione della giovane segretaria, assassinata con 29 coltellate il 7 agosto 1990 a Roma, in via Carlo Poma, è ancora oggi un mistero.
L’obbiettivo è far luce su una delle pagine più buie della cronaca nera italiana: accaduto quando le indagini venivano svolte con tecniche antiquate, che inevitabilmente hanno ostacolato l’individuazione del colpevole.
Probabilmente, proprio a causa degli errori commessi dagli inquirenti, ancora oggi non è stato trovato l’autore di un delitto che ha scosso l’opinione pubblica.

Omicidio di via Poma: il fatto
Simonetta Cesaroni il pomeriggio del 7 agosto 1990 varca le soglie degli uffici dell’Associazione degli Alberghi della Gioventù, per ultimare delle pratiche di lavoro.
Non ne uscì più.
Il lungo iter giudiziario, tra errori e piste investigative
Nessun colpevole è stato trovato, nonostante trent’anni di indagini e tre gradi di giudizio.
Dal momento in cui il primo poliziotto è entrato nell’appartamento di via Poma, si sono susseguiti errori e manomissioni della scena del crimine.
All’arrivo della Polizia, dei reporter e dei fotografi, nell’appartamento e sulle scale vi erano una decina di persone.
Questa circostanza ha reso chiaramente difficoltoso l’isolamento e la raccolta di indizi.
Le numerose persone che accorsero sulla scena del crimine ha reso praticamente impossibile distinguere le impronte digitali lasciate prima dell’arrivo della polizia, da quelle lasciate successivamente.
La temperatura corporea del cadavere poi non era stata misurata, impedendo al medico legale di stabilire l’ora esatta della morte.
L’ispezione si è limitata a sole due stanze, senza estendersi con attenzione alle altre, al sottoscala e pianerottoli.
Nessuna traccia di capelli, peli o frammenti di materiale staccatosi da suole è stata repertata: insomma la scena del crimine non è stata perlustrata correttamente.
Solo la mattina seguente iniziarono ad essere ascoltati i pochi residenti presenti la sera prima nello stabile.
Dopo pochi giorni l’appartamento fu dissequestrato e restituito alle sue normali attività, chiudendo così definitivamente la porta a qualsiasi altra indagine non contaminata.

Omicidio via Poma: la prima ipotesi
Gli inquirenti seguirono la pista del movente sessuale.
Il primo sospettato e fermato fu infatti Raniero Busco, ventiduenne fidanzato di Simonetta.
Tuttavia, il ragazzo venne rilasciato, non vi erano riscontri ambientali, tracce organiche e impronte.
Mancava anche il movente.
La vittima riportava sul corpo 29 colpi da arma da taglio, che potrebbe essere un tagliacarte, trovato però immacolato sulla scena del delitto.
Al momento del ritrovamento, Simonetta indossava solo il reggiseno, un paio di calzini bianchi ed un top appoggiato sopra il corpo.
Sul capezzolo sinistro vi era un’incisione simile ad un morso.
Omicidio via Poma: la seconda ipotesi
L’indagine sembra prendere una piega decisiva quando gli inquirenti, durante una perquisizione nell’appartamento di Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile, rinvengono dei pantaloni con macchioline di sangue.
Il 10 agosto 1990 Vanacore è arrestato con l’accusa di omicidio volontario.
Pochi giorni dopo si scopre che le macchie di sangue erano causate da banali emorroidi: Vanacore viene scarcerato.
Il terzo indiziato dell’omicidio di via Poma
L’inchiesta prosegue.
Nel 92’ l’attenzione si sposta su Federico Valle.
Questa pista non porta a nulla, si fanno largo le più svariate ipotesi, dal coinvolgimento dei servizi segreti alla banda della Magliana.
Il fidanzato della vittima di via Poma
L’inchiesta resta dormiente fino al 7 settembre 2007, quando il nome di Busco compare per la prima volta nel registro degli indagati.
Viene, infatti, rinvenuta una traccia salivare sul reggiseno e sul corpetto della vittima, il cui DNA appartiene al fidanzato Busco.
Questo importante reperto, lasciato per anni dimenticato in un armadio presso l’Istituto di Medicina legale, consente di far ripartire le indagini.
Il Pubblico Ministero incarica un consulente tecnico per stabilire se il morso rinvenuto sul corpo della vittima è riconducibile al principale indiziato.
La perizia propende per la compatibilità del morso con gli incisivi di Busco.
Sulla base di tale fragile compendio probatorio quest’ultimo è rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio volontario aggravato da sevizie e crudeltà verso la vittima.
Il processo di via Poma a carico di Raniero Busco
Il 3 febbraio 2010 inizia il processo ed ecco il colpo di scena: Vanacore si toglie la vita.
La Corte d’Assise di Roma condanna Raniero Busco in primo grado alla pena di anni ventiquattro di reclusione.
Nel processo di appello una nuova perizia certifica che le tracce sul corpetto fossero non solo di Busco, ma anche di altri due ignoti uomini.
L’imputato viene assolto per non aver commesso il fatto.
Il 26.02.2014 la Suprema Corte di Cassazione conferma la sentenza emessa in appello, scagionando definitivamente l’imputato.

Le nuove indagini per l’omicidio di via Poma
E’ di questi giorni la notizia che i P.M. avrebbero riaperto le indagini al fine di ascoltare una serie di testimoni, tra cui un funzionario della Squadra Mobile di Roma.
L’attenzione degli inquirenti sarebbe rivolta ad un sospettato sul cui nome oggi c’è il più stretto riserbo.
Lo svolgimento di nuove indagini apre senza dubbio uno spiraglio sulla possibilità di assicurare finalmente l’assassino di Simonetta alla giustizia dopo trent’anni di attesa.
Tale speranza è riposta nell’impiego di conoscenze derivanti dal progresso tecnico-scientifico, che consentono di ottenere una più accurata ricostruzione dei fatti.
L’evoluzione delle tecniche investigative ed il loro effetto sulle indagini nel corso del tempo
Il maldestro svolgimento dei sopralluoghi, l’errata modalità di conservazione dei reperti e delle analisi delle tracce biologiche rinvenute, hanno influenzato la genuinità dei reperti.
Ad oggi la prova scientifica svolge infatti una funzione più incisiva ai fini dell’accertamento giurisdizionale.
L’evoluzione tecnologica e il progresso scientifico diventano strumenti essenziali nel corso dell’attività investigativa sulla scena del crimine.
L’innovazione tecnologica e l’arretratezza del sistema giudiziario
Con sempre maggiore frequenza accade che il giudice, chiamato a valutare le prove che si formano in dibattimento, abbia la necessità di farsi coadiuvare da esperti.
L’apporto dei c.d. periti, infatti, coadiuva il giudice nello stabilire quali siano le affermazioni su cui fondare le proprie decisioni.
Il diritto ha però modalità e tempi diversi dalla scienza.
Quest’ultima, pur basandosi su metodi empiricamente controllabili, non garantisce sempre la certezza dei risultati.
Talvolta, infatti, anzi, la scienza può fornire solo dati statistici che si esprimono in termini probabilistici che non reggono la soglia dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Inoltre, bisogna considerare che anche la prova scientifica è soggetta ad interpretazione: risorse ed interessi contrapposti, possono condurre ad una “ricerca interessata”, volta a trovare evidenze favorevoli e/o a screditare evidenze non favorevoli per le parti processuali.
La ricerca in ambito forense si pone l’obbiettivo di sviluppare nuovi approcci scientifici utili a fornire contributi tangibili in ambito penale, sia in campo investigativo, sia nel settore processuale.
L’integrazione delle nuove tecnologie nel sistema giudiziario non è però immediata.
In campo giudiziario, infatti, ogni procedura deve essere vagliata con rigore metodologico.
L’analisi di ogni nuova procedura e di ogni prova scientifica portata in giudizio deve soddisfare canoni precisi, tra cui:
- precisione e accuratezza predittiva;
- accreditamento alle normative richieste;
- riproducibilità del risultato.
Le nuove prove scientifiche vs le prove scientifiche consolidate
Come detto, l’innovazione tecnologica è pressoche incessante.
È quindi necessario compiere una distinzione tra:
- gli strumenti tecnico-scientifici già noti ampiamente utilizzati nella realtà giudiziaria;
- i nuovi strumenti non ancora consolidati nella comunità scientifica.
Nel primo caso, si tratta di operazioni probatorie nelle quali vengono impiegati strumenti affidabili, noti e generalmente riconosciuti dalla totalita della comunita scientifica la cui disciplina di ammissibilità è da rinvenirsi nell’art. 190 c.p.p. .
Nel secondo caso, si tratta di prove acquisite con strumenti e metodi di elevata specializzazione ma ancora controversi, non dotati di una generale accettazione da parte della comunità scientifica.
Spetta al giudice affrontare tali criticità in fase di ammissione delle prove.
Il vaglio da superare concerne il rispetto dei criteri fissati dall’art. 189 c.p.p. che disciplina le prove atipiche.
Il vaglio di affidabilità della nuova prova scientifica impone al giudice un duplice onere:
- dovrà acquisire gli elementi di valutazione necessari per il giudizio, sfruttando il contraddittorio fra le parti, il contributo dell’esperto, l’uso dei propri poteri officiosi;
- dovrà motivare adeguatamente sul punto, a pena di annullamento della sentenza per vizio di motivazione.
Le tecniche di indagine scientifica applicate allo studio della struttura criminale
Tra le questioni più dibattute rientra certamente lo studio del c.d. ”tratto morfologico-genetico del cattivo” che, secondo Cesare Lombroso, era da rinvenirsi nella conformazione del cranio.
Oggi, le nuove tecniche neuroscientifiche riguardano lo studio del funzionamento alterato del sistema cerebrale della serotonina per analizzare i caratteri di impulsività ed aggressività di un soggetto.
Parimenti, sono stati condotti accertamenti su un recettore – D4 – della dopamina le cui variazioni genetiche sono associate a diversi gradi di comportamento aggressivo ed iperattivo, indipendentemente dalle prestazioni cognitive.
Ciò che si vuole indagare concerne, quindi, il comportamento criminale che avrebbe la sua genesi – o almeno una delle sue cause – nella struttura del cervello.
I campi dell’innovazione scientifica
Il continuo sviluppo di tecnologie all’avanguardia comporta un vantaggio nel processo penale nell’ambito del quale si possono sfruttare le ricerche scientifiche in diversi campi.
- analisi grafica: la grafia implica una serie di movimenti accessori involontari, che si sottraggono al potere di controllo da parte di chi scrive e che lo caratterizzano;
- indagine stilometrica: si basa sull’accertamento dello stile linguistico presente in uno scritto confrontato con quello usato, ad esempio dall’indagato. Vengono analizzati, ad esempio:
- le scelte lessicali;
- la lunghezza delle parole;
- le costruzioni sintattiche;
- il modo di collegare le parti del discorso.
- sonogramma: consente di misurare frequenza, durata e intensità di un segnale vocale in raffronto con altro campione vocale;
- balistica forense: lo studio dei proiettili e i materiali impiegati tramite l’uso di armi da fuoco;
- la BPA – Bloodstain Pattern Analysis: è l’esame scientifico delle macchie di sangue rinvenute sul c.d. locus commissi delicti;
- la genetica forense: concerne l’analisi del DNA;
- la dattiloscopia forense: studia le impronte digitali;
- l’entomologia forense: riguarda lo studio degli insetti sul corpo della vittima per accertarne i tempi della morte.
Queste analisi entrano nel processo penale e costituiscono una prova che il giudice potrà utilizzare per determinarsi nella propria decisione.
L’analisi del DNA
Tra le più note, soprattutto all’opinione pubblica, rientra certamente la prova scientifica del DNA.
Questa prova viene utilizzata come uno strumento di identificazione e comparazione.
La traccia biologica rinvenuta, ad esempio, sul luogo di un reato, viene analizzata e viene determinato il profilo genetico.
Successivamente questo profilo genetico veniva sottoposto a comparazione con il DNA acquisito da soggetti ritenuti presumibilmente coinvolti nell’indagine.
L’analisi del DNA permette anche di indagare le caratteristiche fenotipiche del soggetto che ha rilasciato questa traccia.
Con questo termine si intendono caratteristiche corporee, tra cui:
- il colore degli occhi;
- il colore dei capelli;
- l’età;
- la provenienza etnica.
Tali informazioni risultano essere importanti per gli investigatori in quanto hanno la potenzialità di “ridurre il campo di indagine” dei possibili sospettati.
Anche questa prova scientifica non deve però essere considerata ancora come “scienza certa ed inoppugnabile”.
Il trojan come strumento di indagine
Tra le innovazioni tecnologiche si annovera anche lo strumento del trojan.
In Italia, la disciplina è stata inserita nel decreto legislativo n. 216 del 2017, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11.01.2018.
Questo strumento permette di collocare dei captatori informatici all’interno di dispositivi elettronici portatili per lo svolgimento di intercettazioni ambientali.
Il malware ”iniettato” nel dispositivo permetterá di acquisire dati, file audio, video e traffico, a distanza ed in modo completo: tutto quanto contenuto sul supporto informatico verrà acquisito.
Certamente questo strumento dovrà superare diversi vagli di ammissibilità, primo tra tutti quello di utilizzabilità all’interno del processo penale.
L’importanza degli accertamenti tecnici di cui agli artt. 354 e 360 c.p.p.
Laddove non sia possibile raccogliere rapidamente le prove non contaminate, si rende necessario il compimento di accertamenti e rilievi, definiti “accertamenti urgenti” ex art. 354 c.p.p. .
Ciò accade per evitare che le tracce del reato vadano disperse, e che lo stato dei luoghi e delle cose muti.
Nel caso sia necessario acquisire la prova su una persona, cosa o luogo, soggetto a modifiche, il P.M. dispone lo svolgimento degli “accertamenti tecnici non ripetibili” (art 360 c.p.p.).
L’espletamento di questa attività tecnica può avvenire solo una volta, nel contraddittorio delle parti.
Vi è quindi la convocazione di tutte le parti processuali per il conferimento dell’incarico al Consulente tecnico.
Le parti, unitamente ai propri consulenti tecnici eventualmente nominati, possono partecipare alle operazioni e formulare osservazioni e riserve.
Scopo degli accertamenti tecnici è quello di fare in modo che la prova possa essere acquisita dal Giudice del dibattimento in modo diretto.
Dott.ssa Giulia Danesi – Avv. Raffaele Perrotta