“In periodi di Coronavirus la mancata attivazione della videoconferenza che impedisce la partecipazione dell’indagato all’udienza camerale è equiparabile all’omessa traduzione”.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 19.01.2021 n. 2213, Sesta Sezione Penale.
Il caso ha interessato un soggetto detenuto presso la Casa circondariale di Torino che aveva chiesto di partecipare all’udienza cautelare mediante videoconferenza, a norma del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, art. 83 comma 12, conv. con modificazione, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27.
Tuttavia, a causa di un malfunzionamento degli strumenti di collegamento, l’indagato non ha potuto parteciparvi e l’udienza è stata decisa senza il detenuto.
La Cassazione ha giustamente stabilito che è stato violato il diritto di difesa.
Difatti la normativa emergenziale stabilisce di dover assicurare alle persone detenute, la partecipazione a qualsiasi udienza mediante videoconferenza.
Di conseguenza, la Corte di legittimità ha affermato che: “la violazione del diritto dell’indagato di partecipare all’udienza camerale, fissata nelle forme dell’art. 127 c.p.p., integra una nullità assoluta”, al pari “dell’omessa traduzione all’udienza camerale d’appello”, poiché “ugualmente lesiva del diritto di partecipazione”.
L’orientamento della Cassazione si fonda sul fatto che in assenza di collegamento tra il detenuto e l’aula di udienza si renderebbe priva di senso la funzione della “vocatio in iudicium”, perché il titolare del diritto non verrebbe messo nella condizione di poter rispondere.
Le misure necessarie al contenimento dell’epidemia di CoVid19 hanno digitalizzato anche le modalità di udienza, il che ha comportato un profondo cambiamento nella Giustizia italiana. Allo stesso tempo però la dematerializzazione del processo non può e non deve comportare una diminuzione delle garanzie difensive e dei diritti posti alla base di un giusto ed equo processo.
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