Infortunio sul lavoro: dipendente accusato di favoreggiamento.

Fornire una versione falsa di come è avvenuto l’infortunio, per agevolare il datore di lavoro, è reato?

L’art. 378 del codice penale prevede il reato di “Favoreggiamento personale”.

Il reato tutela l’interesse dello Stato all’accertamento e alla repressione dei reati, punisce i comportamenti volti ad aiutare un terzo con la consapevolezza che abbia compiuto un reato.

Invero, vi è responsabilità penale quando la condotta risulta idonea ad ostacolare le indagini.

“Provocando una negativa alterazione dei fatti all’interno del quale le investigazioni e le ricerche si sarebbero potute svolgere”[1].

Il caso analizzato dalla Corte di Cassazione

Nel caso esaminato dalla Cassazione (VI sezione n. 22253 del 23 luglio 2020), l’imputato aveva mentito rispetto a come era avvenuto l’infortunio sul lavoro del collega.

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Queste dichiarazioni erano idonee a sviare le indagini che si svolgevano sull’infortunio nei confronti del responsabile della sicurezza aziendale.

Il responsabile, infatti, era indagato per lesioni colpose di cui all’art. 590 c.p. in violazione della normativa della sicurezza sui luoghi di lavoro (D.lgs 81/08).

La giustificazione fornita dal dipendente sul motivo della bugia

Nel corso del processo, il dipendente che aveva mentito ha provato a giustificarsi dicendo che aveva paura di essere licenziato o di subire ritorsioni.

La giustificazione non gli ha evitato la condanna.

La Corte, infatti, ha ravvisato il pericolo non reale, ma una mera suggestione logica.

Infatti, questo pericolo era smentito indirettamente dal fatto che il lavoratore anche nel processo, sentito come testimone, ha ribadito le false dichiarazioni.

Quando venne sentito a processo, come testimone, era già stato licenziato da tempo per cui il presunto pericolo era terminato.

Il dipendente menzognero, se avesse detto la verità come testimone avrebbe potuto beneficiare dell’istituto della ritrattazione.

Cosa è la ritrattazione? Può essere idonea ad evitare una condanna?

L’art. 376 c.p. (ritrattazione) prevede la non punibilità quando in udienza viene rettificato quanto falsamente dichiarato in fase di indagini.

Per cui, il dipendente che in fase di indagini aveva mentito per coprire il datore di lavoro avrebbe potuto evitare il processo se a dibattimento, come testimone, avesse detto la verità.

Invece, nel caso di specie, il dipendente aveva preferito ribadire la versione non veritiera già fornita.

Il reato di favoreggiamento.

Nel caso del favoreggiamento la contestazione non è quella di essere complice del favorito, ipotesi disciplinata dal concorso di reato di cui all’art.110 c.p. “pena per coloro che concorrono nel reato”, ma di aiutare l’autore a sottrarsi alla giustizia.

Per cui il favoreggiamento è diverso dal concorso di persone in quanto il bene giuridico che la disciplina in questione mira a tutelare è appunto l’amministrazione della giustizia.

In effetti, le dichiarazioni mendaci rese dall’imputato circa le modalità di infortunio che hanno coinvolto un collega di lavoro, pur potendo essere sorrette dal timore di ritorsione da parte del datore di lavoro non sono valse a giustificare una versione falsata dei fatti.

Le dichiarazioni, infatti, erano finalizzate “a sviare le indagini che si svolgevano, per quel sinistro, nei confronti del responsabile della sicurezza per l’ipotesi di reato di cui art 590 c.p.”[2].

La condanna è stata comminata, a maggior ragione perché le dichiarazioni sono state “ribadite nel corso del giudizio, allorquando era già stato licenziato da tempo, pur potendo avvalersi della via d’uscita garantita dall’articolo 376 c.p.[3].

L’azione volta ad integrare il reato di “favoreggiamento personale” art. 378 c.p., pur non provocando vittime, è reato perché danneggia lo Stato, ed ancor di più, il buon funzionamento della macchina da giustizia.