La prescrizione delle sanzioni dell’ente

Tabella dei Contenuti

D.lgs. 231 del 2001: sentenza definitiva e prescrizione delle sanzioni

Criminalità d’impresa e responsabilità da reato dell’ente collettivo

Le sanzioni comminate all’ente sono soggette a prescrizione?

Cosa si intende per criminalità economica d’impresa?

Tale dicitura si riferisce a quelle forme di criminalità realizzate, nell’ambito di attività economiche legittime, dai responsabili dell’impresa per accrescerne in modo illecito i profitti.

Si tratta dunque dei c.d. white collar crimes.

Nei confronti di questa tipologia di reati il modello punitivo classico risulta ampiamente insoddisfacente per una serie di ragioni:

  • la persona fisica non è quasi mai autore esclusivo del reato, anzi, è spesso difficile da individuare e finisce talvolta per essere punita solo grazie ad una forzatura degli istituti penalistici;
  • il reale beneficiario dell’attività illecita è l’impresa che resterebbe indifferente all’applicazione della sanzione penale individuale.

Da qui la necessità di un sistema punitivo in grado di colpire direttamente l’impresa quale autonomo centro di interessi.

Con la legge n. 300 del 2000, art. 11 è stata introdotta la “Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti anche privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale”.

Tale responsabilità si intende in relazione alla commissione, a loro vantaggio o nel loro interesse, di una serie di reati da parte dei vertici o dei collaboratori quando la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi connessi a tali funzioni, sempre che l’autore del reato lo abbia commesso nell’esclusivo interesse proprio o di terzi.

I soggetti destinatari del sistema sanzionatorio

Il sistema sanzionatorio è stato realizzato dunque, in attuazione alla delega, dal d.lgs. n. 231 del 2001.

Le disposizioni del decreto si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni, anche prive di personalità giuridica.

Non invece, allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, né agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Le condizioni affinché l’ente sia chiamato a rispondere per il reato

Occorre che si realizzi un triplice ordine di condizioni:

  • il reato deve essere commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente (art. 5, comma 1);
  • l’autore del reato deve essere una persona legata da un particolare rapporto c.d. qualificato, comprendente sia posizioni apicali che subordinate con conseguenze differenti;
  • una carenza dell’ente sul piano organizzativo, che non ha consentito di prevenire la realizzazione del “crimine d’impresa”.

Su quest’ultimo punto l’art. 6, comma 2, individua i connotati essenziali dei modelli di organizzazione e gestione delle attività della società idonei a prevenire la commissione di condotte illecite, il cui rispetto vale ad escludere la responsabilità dell’ente nel caso del reato del vertice.

Le sanzioni dell’ente

Alla riconosciuta responsabilità della società consegue l’applicazione di “sanzioni amministrative, effettive, proporzionate e dissuasive” – queste sono le prescrizioni contenute nella legge delega n. 300 del 200 – che colpiscono non solo il suo patrimonio, ma anche la sua attività:

  • sanzione pecuniaria: da determinarsi entro i limiti edittali minimi e massimi fissati dalle singole norme sanzionatorie, essa è indefettibile e quantificata in base ai criteri di commisurazione “per quote” dall’art. 11;
  • sanzioni interdittive: nei casi di particolarità si applicano anche cumulativamente in aggiunta a quelle pecuniarie;
  • la confisca;
  • la pubblicazione della sentenza.

Le sanzioni interdittive dell’ente

L’articolo 9, secondo comma, del d.lgs. n. 231/2001 elenca quali sono le sanzioni interdittive:

  • l’interdizione dall’esercizio della società;
  • la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  • il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Le sanzioni appena citate hanno una durata “non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni” (art. 13, comma 2).

Tuttavia la l. n. 3 del 2019 (c.d. Spazzacorrotti) ha, da un lato, inasprito le sanzioni nei casi di responsabilità dell’ente per i delitti contro la pubblica amministrazione (durata minima di quattro anni e massima di sette), dall’altro ha introdotto il peculiare istituto della collaborazione processuale, con la possibilità di ricondurre la durata della sanzione entro i limiti ordinari.

Per saperne di più, leggi il nostro articolo.

La prescrizione delle sanzioni amministrative dell’ente

L’articolo 22 del decreto dispone che le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato, ed individua altresì le cause di interruzione.

Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.

Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59.

Il nuovo inizio del termine della prescrizione

Per effetto della interruzione prevista dall’art. 59 inizia un nuovo periodo di prescrizione.

Se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”.

Stando alla lettera della norma dunque, per effetto dell’interruzione inizia un nuovo periodo quinquennale di prescrizione, che decorre dalla data dell’evento interruttivo.

A differenza di quanto dispone l’art. 161 comma 2 c.p., il quale in caso di interruzione assoggetta a termini massimi il tempo di prescrizione del reato, l’ultimo comma dell’art. 22, invece, la prescrizione non inizia a decorrere fino al momento di passaggio in giudicato della sentenza.

La prescrizione della sanzione a seguito del passaggio in giudicato

Cosa accade, però, una volta che la sentenza è passata in giudicato? Entro quanto tempo deve essere applicata, o riscossa, la sanzione inflitta all’ente?

Sullo specifico aspetto è stata decisiva una sentenza della Cassazione che ha risolto un contrasto sul significato dell’art. 22 del decreto 231.

Infatti, come visto l’art. 22 “prescrizione” del D. Lgs. 231 del 2001 stabilisce “le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato”.

Tale termine quinquennale vale solo per la prescrizione degli illeciti amministrativi commessi dall’ente o anche per l’applicazione delle sanzioni irrogate?

Come detto, alcuni giudici hanno interpretato l’art. 22 in modo restrittivo: non si occuperebbe della prescrizione delle sanzioni, ma solo del reato.

Di conseguenza, il termine di prescrizione della pena andrebbe ricavato dal Codice Civile ai sensi dell’art. 2953 ed individuato, quindi il termine è di 10 anni.

Nella sentenza richiamata, invece, la Cassazione ha specificato che l’art. 22 “riguarda tanto l’illecito, quanto la sanzione definitivamente irrogata, che dovrà essere riscossa, a pena di estinzione, entro il termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza; fatti salvi, in entrambe le ipotesi, gli effetti di eventuali cause interruttive”.

L’orientamento deriva da una lettura unitaria dell’art. 22: il primo comma disciplina la prescrizione dell’illecito ma il regime dell’interruzione previsto nei commi successivi fa desumere che il termine quinquennale dev’essere riferito anche alla prescrizione della sanzione.

Il comma 4 dell’art 22 infatti prevede che se l’interruzione è avvenuta a causa della contestazione dell’illecito amministrativo, la prescrizione non decorre sino al momento in cui la sentenza che definisce il giudizio non passa in giudicato.

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