Gli scarichi industriali e inquinamento dell’acque: è sempre reato?

Vediamo subito cosa dice la normativa rispetto alla responsabilità amministrativa dell’ente (D.Lgs 231/2001):

non è sempre punibile l’azienda che scarica in fognatura le acque reflue del proprio ciclo di lavorazione produttiva superando i limiti previsti dalla legge.

Quando si commette il reato di scarico di acque reflue?

L’azienda XX, nota società lombarda da anni cliente del nostro Studio, è stata accusata di aver sversato nella fognatura pubblica gli scarichi del proprio ciclo di produzione oltre ai limiti previsti dalla legge.

Si tratta di un reato normalmente punito dall’art. 137 D.Lgs. 152/2006. La sanzione riguarda gli scarichi di natura industriale al superamento di soglie ben definite, per evitare i problemi di inquinamento del sottosuolo.

Ecco la definizione di “scarico industriale”:

qualsiasi tipo di acqua proveniente da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni. Gli imprenditori hanno l’obbligo di ottenere una specifica autorizzazione per utilizzare la fognatura del proprio Comune.

(Clicca qui per maggiori informazioni)

La responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del D.Lgs 231/2001: un doppio rischio l’azienda

Nel nostro caso l’azienda doveva rispondere per due distinte imputazioni:

  • Il suo legale rappresentante per la violazione dei limiti di legge in relazione agli scarichi industriali.
  • L’azienda, per contro, per la mancata adozione, prima della commissione del reato, di un modello organizzativo idoneo ad escludere la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del D.Lgs 231/2001, ottenendo in questo modo un sicuro beneficio di natura economica.

Infatti, in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, il vantaggio per l’ente può essere facilmente ravvisato nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l’infortunio sul lavoro.

Si tratta di un principio utilizzato più volte anche dalla Cassazione in tema di reati ambientali:

l’interesse e il vantaggio vanno individuati sia nel risparmio economico per l’ente determinato dalla mancata adozione di impianti o dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari, sia nell’eliminazione di tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell’attività produttiva”.

La linea difensiva del nostro studio, articolata su una pluralità di motivi, ha fatto leva anche sul concetto di “occasionalità” della violazione. Si tratta di un parametro in grado di escludere la sussistenza di una politica d’impresa finalizzata al conseguimento di un’utilità da parte dell’ente.

(Clicca qui per maggiori informazioni)

Occasionalità della condotta?

Recentemente la Corte di Cassazione è intervenuta per dare una nuova e significativa interpretazione della normativa in materia di scarichi industriali ed inquinamento ambientale.

La giurisprudenza precedente di legittimità, in maniera estremamente rigorosa e particolarmente punitiva, ha sempre escluso che l’occasionalità della condotta potesse escludere la sussistenza del reato presupposto, a prescindere da ogni ulteriore valutazione.

La sentenza n. 3157/2020, affrontando proprio il tema della responsabilità amministrativa ai sensi dell’art. 25 undecies D.Lgs. 231/2001, in relazione al reato ambientale di scarico di acque reflue industriali oltre i limiti tabellari di cui all’art. 137 co. 5 D.Lgs. 152/2006, sembrerebbe tuttavia propensa ad affermare che:

un unico, occasionale, superamento potrebbe essere indice della mancanza di interesse o vantaggio per l’ente.

Prima di condannare penalmente, la società e/o il suo legale rappresentate, è infatti obbligatorio dimostrare che i campioni dei reflui industriali prelevati siano effettivamente rappresentativi delle condizioni dello scarico dell’ente.

Non è quindi possibile limitarsi ad accertare rispetto ad un singolo caso il superamento dei limiti tabellari sanciti dal D.Lgs. 152/2006.

L’evento dovrà infatti essere coordinato e razionalizzato alla luce di tutte le altre evidenze probatorie.

Ovviamente il superamento del tutto occasionale dei limiti tabellari non potrebbe escludere a priori la sussistenza del reato presupposto.

Tuttavia questa circostanza dovrebbe assumere rilevanza tale da evitare una condanna per la società ai sensi della disciplina ex D.Lgs 231/2001, posto che la singola violazione risulta idonea evidenziare la assenza di una politica aziendale orientata al risparmio di spesa o alla massimizzazione della produttività, stante la mancanza dei presupposti dell’interesse o del vantaggio richiesti per la configurazione della responsabilità amministrativa in capo all’ente.

La novità di questo recentissimo orientamento giurisprudenziale ci ha permesso di elaborare per il nostro cliente la miglior strategia difensiva.